L’interpretazione della matematica

Di Ettore Minguzzi

 

 

L’esigenza di stabilire un legame tra le cosiddette “due culture”, quella scientifica e quella umanistica,  non verrà mai evidenziata abbastanza. La questione però è veramente complessa tanto da scoraggiare ogni tentativo di risoluzione. Lungi dal risolverla, mi limiterò a spiegare perché in ambito scientifico c’è bisogno della cultura umanistica, soprattutto di una certa capacità filosofica, e come poi, per riflesso, una opportuna conoscenza della scienza ed in particolare della fisica e della matematica possa avere felici conseguenze in ambito filosofico.

 

Nelle università scientifiche questo genere di speculazioni sono guardate con diffidenza. Il pericolo paventato è quello di lasciare spazio all’incertezza e all’opinione, eppure è indubbio che i più grandi scienziati, come Galileo e Newton, o come Gauss e Einstein, sono stati capaci di vere rivoluzioni concettuali cui non sarebbero giunti senza una profonda rivisitazione dei dogmi filosofici cui implicitamente aderiamo fin dall’infanzia. Questa loro opera è rimasta perlopiù sommersa, confidata spesso solo a pochi amici; da una parte perché guardata con sospetto dal mondo accademico, dall’altra perché vissuta dagli autori solo come ulteriore strumento nell’indagine scientifica.

 

Gauss, ad esempio, riconobbe l’esistenza di geometrie non euclidee (geometrie cioè dove se fai un passo avanti, uno a destra, uno indietro e uno a sinistra non torni nella posizione iniziale) e arrivò a congetturare che anche il nostro spazio sia curvo proponendo esperimenti in grado di verificare tale ipotesi. Nel suo esperimento Gauss disponeva tre osservatori sulla cima di altrettante montagne, ognuno quindi misurava l’angolo con cui vedeva le lanterne degli altri due: i tre angoli sommati avrebbero dato 180° se lo spazio fosse stato euclideo, mentre avrebbero dato un numero leggermente differente se fosse stato non euclideo. Oggi sappiamo che lo spazio-tempo è non euclideo e possiamo prevedere che l’esperimento di Gauss non avrebbe avuto successo solo a causa della precisione al tempo raggiungibile. La sua grande intuizione però è stata confermata e implementata nella teoria della relatività generale di Einstein. Nonostante l’importanza della sua scoperta Gauss non la divulgò. Egli non intendeva combattere contro una posizione filosofica al tempo largamente condivisa, l’idea kantiana dello spazio euclideo “a priori”. Questa posizione filosofica può essere riconosciuta oggi come scaturita semplicemente da una scarsità di immaginazione, visto che al tempo solo la geometria euclidea era nota. Ma come riuscì Gauss a superare tali difficoltà? Oggi è giusto riconoscere in Gauss un grande filosofo, nel senso che, se è vero come sosteneva Galileo che la natura è scritta nel linguaggio della matematica, allora Gauss sapeva leggere la matematica. Ciò non vuol dire riuscire a fare calcoli complessi o dimostrare teoremi complicati, ma significa saper guardare una espressione matematica ed interpretarla trasferendola nel dominio fisico. Ecco quindi dove l’atteggiamento filosofico trova la sua realizzazione nella scienza: nella interpretazione della matematica e nel continuo scambio tra questi due ambienti, quello interpretativo e quello formale. Non c’è niente di più utile alla scienza e alla filosofia: se questa intesa viene realizzata allora quando procederemo a stento nella prima la seconda saprà guidare la nostra intuizione, quando invece la scienza nella sua struttura formale avrà mostrato la propria validità allora la relativa interpretazione filosofica ci aiuterà ad abbattere gli impliciti dogmi a cui eravamo inconsapevolmente soggetti. Un tempo, infatti, non si parlava di fisica ma di filosofia naturale, e sarebbe senz’altro auspicabile un più esplicito riavvicinamento di queste discipline.

 

L’analisi dei più elementari concetti della matematica, quali i numeri e la somma, può aiutarci ad osservare chiaramente il ruolo giocato dall’interpretazione e dalla struttura formale, e l’esigenza della loro contemporanea presenza ai fini di una piena comprensione della natura. La semplicità dell’esempio non deve trarre il lettore in inganno: non è un caso che per svilupparsi, quelle che sono apparentemente semplici nozioni apprese alle elementari, abbiano impiegato migliaia di anni.

 

I numeri e la loro somma hanno la meravigliosa proprietà di essere universali, sono cioè l’essenza di una serie di circostanze fisiche. Supponiamo, ad esempio, di avere delle biglie ed introduciamo una procedura, che è quella del contare, per associare ad un insieme di queste biglie una parola, che chiamiamo numero. Se teniamo cioè le biglie nella nostra mano sinistra quella del contare è una procedura che associa a tale situazione fisica una parola. Niente di più facile. Ora impariamo una cantilena, che è la tabellina della somma, tale che date due parole ne associa una terza. Se ora usiamo la procedura del contare per le biglie che ho a destra e a sinistra, ne deriviamo le relative parole (numeri), usiamo quindi la cantilena per determinare l’altra parola, e mettiamo insieme le biglie di entrambe le mani: vedremo che la parola ottenuta dalla cantilena è proprio quella che si ottiene applicando la procedura del contare a tutte le biglie insieme. Il fatto incredibile è che questa magia funziona sempre, ma non c’è sotto alcun trucco e nessuna spiegazione, è semplicemente una vera e propria magia o se volete una legge fisica: funziona. Fare la facoltà di matematica non vi chiarirà le idee su questo punto e non si capisce perché la cosa cessi di stupirc:, forse perché la impariamo da piccoli quando tutto viene assorbito senza porci troppi interrogativi; del resto, se vedessimo nostro padre che vola, a patto di essere abbastanza piccoli,  la cosa non potrebbe turbarci. Ma l’aspetto che voglio evidenziare è un altro e cioè l’universalità, cosa significa? In questo caso abbiamo usato delle biglie e sommare significava unire due insiemi di biglie, ma avrei potuto benissimo usare delle castagne, oppure prima di mettere tutto insieme avrei potuto stabilire di dover fare un giro su me stesso. Il lettore può trovare una infinità di diverse circostanze in cui tale magia si realizza e magari estenderla alla moltiplicazione. Qual è stato il grande passo avanti della matematica? Quello di riuscire a parlare di tutte queste situazioni fisiche contemporaneamente, senza mai tirare in ballo aspetti inessenziali come il fatto che si tratti di castagne o biglie, che si giri su se stessi o no, elencando e mostrando le implicazioni delle proprietà comuni. Si parla allora in matematica di numeri e di operazione di somma. Qui comincia il lavoro del filosofo naturale: sta a lui riconoscere, posto di fronte alle biglie, che considerare un numero equivale a prendere un po’ di biglie e che sommare due numeri equivale a mettere insieme due insiemi di biglie. Una volta stabilita questa corrispondenza tutte le conseguenze matematiche hanno un corrispondente fenomeno fisico, e tutti i fenomeni fisici che coinvolgono proprietà fisiche essenziali (nel senso che trovavano una corrispondenza con la matematica: nel nostro caso il risultato della cantilena del contare è una di queste proprietà essenziali mentre l’essere biglie non lo è) hanno un corrispettivo matematico. In sintesi il merito della matematica è quello di aver saputo isolare gli aspetti del modello più interessanti astraendo dalla specificità del modello stesso. Quali siano gli aspetti più interessanti segue solo dopo aver specificato che tipo di operazioni si intende compiere con gli oggetti: se intendiamo unire i vari insiemi il “numero” sarà la qualità dell’insieme che ci interessa, e in tal caso faremo uso della matematica, ma se la nostra intenzione è quella di nutrirci allora avrà importanza se abbiamo a che fare con biglie o castagne, e la qualità importante nel nostro modello sarà la commestibilità. E’ chiaro quindi che il concetto di numero, allo stesso modo della commestibilità è una qualità del nostro insieme, certo meno evidente della forma o del colore, ma pur sempre una qualità.

 

Di fatto la matematica è solo un altro modello di natura cartacea, le cui operazioni consistono nel vergare secondo altrettante regole arbitrarie dei segni sul foglio. È, per così dire, un modello di riferimento, particolarmente comodo per la sua versatilità e capacità evolutiva. Qui il processo dimostrativo di un teorema deve essere sviluppato dal matematico attraverso l’uso degli assiomi e delle regole di inferenza della matematica, i suoi calcoli e le sue operazioni rivestono lo stesso ruolo giocato dall’operazione dell’unione di due insiemi di biglie nell’esempio precedente. Certamente egli lavora su un piano più elevato, perché lavora sulle proposizioni inerenti certi enti, i numeri, e non sui numeri stessi, ma comunque egli sviluppi la sua dimostrazione il teorema restarà lo stesso. Questa è ancora una volta una magia, nota come “coerenza”. Come è stato mostrato da Gödel essa non può derivarsi a partire dalla matematica stessa. La situazione è simile a quella incontrata precedentemente per la somma: il fatto che la procedura mostrata tornasse sempre doveva essere intesa come legge fisica che realizzava la struttura formale della matematica, ma che non poteva essere da essa spiegata. E’ immediato quindi riconoscere che la matematica dipende dalle stesse leggi fisiche cui sono sottoposti gli altri sistemi fisici. E' mia opinione che la visione platonica della matematica, come la scienza “più vera”, possa essere su queste basi contestata. Se giudichiamo legittimo parlare di universi fisici con leggi differenti, allora, sebbene lo sforzo di immaginazione possa risultare vano, non è escludibile che ognuno di essi possa contemplare una matematica differente. L’evidenziazione da parte della matematica delle “proprietà” dei sistemi fisici, nel senso di reazione a determinate operazioni, a dispetto della loro reale natura, è di notevole stimolo anche nel campo esclusivamente filosofico. Suggerisce che ciò che ha rilevanza non sono gli oggetti in sé, ma la relazione tra loro ed in particolare con noi. L’oggetto in sé sarebbe quindi identificabile come ciò che gode di determinate proprietà quando è posto in relazione con gli altri “oggetti”; così una sedia è tale, tra gli altri aspetti, perché mi ci posso sedere sopra. In pratica il concetto stesso di oggetto finirebbe con lo sparire lasciando interamente il posto a quello più etereo di relazione. In questa chiave può anche essere letta l’affermazione di Wittgenstein: Il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose.

 

Wittgenstein studiò approfonditamente il linguaggio nella costruzione della propria filosofia: il linguaggio infatti diventa indispensabile nella comunicazione tra qualunque entità, e una sua profonda comprensione poteva chiarire l’interazione tra l’uomo e il mondo. Egli si dimostrò un insegnante severo, in particolare della matematica. Ciò non deve stupirci, la matematica infatti può essere pensata come un linguaggio con precise regole grammaticali. Inoltre la matematica è universale, sia perché può formalizzare differenti situazioni fisiche, sia perché può essere riscoperta da qualunque civiltà sufficientemente evoluta. Su queste basi si potrebbe cercare di fondare un contatto con una ipotetica civiltà extraterrestre proprio usando la matematica come linguaggio. Tuttavia tale impresa nasconderebbe delle insidie infatti, proprio grazie alla sua universalità, la matematica è automaticamente vuota di contenuti, nel senso che può fare solo affermazioni appartenenti a se stessa (teoremi) almeno finché non si procede con l’interpretazione. Così a priori niente ci dice che 1 vuol dire “vero” e 0 vuol dire “falso”, saremo noi, se vorremo, ad usare tale interpretazione. Con questo giungiamo all’ultima osservazione che desideriamo evidenziare: l’assenza di significato fisico segue dalla universalità e può essere eliminata solo attraverso l’interpretazione.

 

Riassumendo: abbiamo mostrato come, per applicare il metodo scientifico, sia indispensabile interpretare il formalismo matematico che di per sé sarebbe vuoto di contenuti fisici. Questa azione interpretativa può anche dirsi filosofica perché coinvolge oltre all’aspetto formale anche quello fattuale ed è condizionata dal nostro modo di intendere il mondo. Andando oltre possiamo identificare la stessa scienza come l’interpretazione filosofica della matematica, senza che per questo, come abbiamo mostrato, la matematica assuma un ruolo epistemologico privilegiato. La scienza si fonda sulla filosofia, e non può esservi dissociata. E’ frequente incontrare negli ambienti scientifici persone che sostengono come nel loro lavoro non facciano uso della filosofia, o di alcuna arbitraria posizione filosofica, adducendo come prova il loro disinteresse verso tale disciplina. Eppure questo atteggiamento ingenuo, spesso radicato, può chiarirsi  ponendo la domanda “Pensi che, mentre leggi queste righe, la tua casa, la tua scuola, esistano?”.  Qualunque tipo di risposta, persino una critica alla domanda, rileva che ci è impossibile non prendere una posizione filosofica. E allora la domanda diventa: “Nell’attività dello scienziato è utile procedere secondo le proprie idee filosofiche?”. La nostra risposta è sì, perché queste influenzano in ogni caso il lavoro dello scienziato e lo condizionano positivamente solo qualora non si ergano su un piano dogmatico ma su un piano critico, proprio come nella scienza.

 

L’EROE – Numero Ventiquattro-Venticinque – Marzo-Aprile 1999